Ogni volta che vado in Giappone dovrei insegnare e trasmettere quello che quotidianamente coltivo e, come sempre quando sono in Giappone, sono più io a riceverne che ad impartirne di lezioni.
Potrei descrivere l’incredibile perseveranza dei praticanti giapponesi, ma sarebbe fiato sprecato e verrebbe accompagnato da un “Eh ma loro sono così!”, come se a qualcuno l’abitudine alla determinazione non fosse costata fatica.
Invece vi racconterò questo piccolo aneddoto di vita quotidiana.
Il mio appartamento era in centro, a lato del mercato alimentare più grande di Osaka, in una di quelle piccole vie che nonostante immerse nel caos, rimangono avvolte nella tranquillità.
Ogni giorno scendevo di casa e dovevo attraversare a piedi la via centrale del mercato, popolata da turisti ed indigeni, che scorrazzanti per i banchi ingolfavano il passaggio come una mattina alle poste.
Il percorso era breve, talmente breve che non avevo mai fatto caso a quanto potessi impiegarci.
4/5 minuti? Meno di 10 comunque.
Tra tutte le frenetiche figure di passaggio, una era quotidianamente presente sul quello stesso tragitto.
Un uomo, giapponese, in età avanzata e curvo su un bastone da passeggio, procedeva un passo dietro l’altro alla velocità di un metro al minuto.
Un tempo, sicuramente, sarà stato capace di corse e salti, ma la vecchiaia lo aveva rallentato così tanto che, alcuni giorni, andavo e venivo da fare la spesa e lui era avanzato solo di qualche metro.
Gli ci volevano 45 minuti per compiere quel percorso a cui io neanche pensavo.
Ogni giorno.
Già questo era bastato a farmi provare enorme stima nei confronti di tanta tenacia.
Quella sera dovevo ancora comprare la cena e scendendo le scale potevo sentire il muro di pioggia che, venendo giù, scrosciava per terra inondando la strada.
Anche con ombrello e kway, mi rassegnavo all’idea di non salvare neanche un cm asciutto in quel breve tragitto.
Mi incamminai e a metà via c’era lui, il mio lento e curvo amico.
Bagnato dalla testa ai piedi, con una mano reggeva il bastone e con l’altra la spesa, infilando minuscoli passi uno dopo l’altro, senza la minima possibilità di ripararsi.
Dritto per la sua strada.
Senza che ci parlassimo, gli ressi l’ombrello per 20 minuti, onorato ed in soggezione allo stesso tempo.
Arrivati al coperto, mi disse la parola che più sentirete li “Arigato gozaimasu”, grazie.
La differenza é nell’attitudine.
Every time I go to Japan I should teach and transmit what I daily cultivate, and, as always, when I am in there, it is more what I receive than what I give.
I could describe the incredible perseverance of the Japanese practitioners, but it would be a waste of time and would be accompanied by an “Ehi, but they are like that since childhood!”, as determination does not cost effort to everybody.
Instead, I will tell you this little anecdote of everyday life.
My apartment was in the center, next to the biggest food market in Osaka, in one of those little streets that, despite being immersed in chaos, remain deep in tranquility.
Every day I left home and had to walk through the central street of the market, populated by tourists and natives, who were getting stucked through the banks like a morning at the post office.
The path was short, so short that I never noticed how much I could spend walking.
4/5 minutes? Less than 10 anyway.
Of all the frenetic figures of passage, one was daily present on that same journey.
A man, Japanese, at an advanced age and hunched over a walking stick, proceeded one step after another at a speed of one meter per minute.
Once, surely, he was capable of running and jumping, but old age have slowed him down so much that, some days, I was going for shopping and, on my way back, he moved only a few yards ahead.
It took him 45 minutes to complete that path that I didn’t even think about.
Everyday.
That alone was enough to make me feel enormously respectful for such tenacity.
That evening I still had to buy dinner and, going down the stairs, I could hear the wall of rain that, coming down, was pouring down on the ground flooding the street.
Even with an umbrella and kway, I was resigned to the idea of not saving even a centimeter dry in that short journey.
I started walking and he was halfway there; my slow and stooped friend.
Wet from head to toe, with one hand on the stick and the other grasped a bag, getting small steps one after the other, without the slightest possibility of repair himself.
Straight on his way.
Without talkin, i held him the umbrella for 20 minutes, honored and intimidate at the same time.
Arriving in a covered place, he told me the word you will hear the most “arigatogosaymasu”, thank you.
The difference is in the attitude.